Ex opificio

L’edificio denominato “Adiacenza sud” si inserisce nell’ambito del complesso monumentale denominato “Villa dei Cedri” in Valdobbiadene, posto tra le vie Piva e La Cordana. Esso è individuato al CT, Valdobbiadene, Fg.17 mapp. 8-9-10-34-50. La consistenza dell’intero complesso è la seguente: ambito complessivo superficie mq 22638; la superficie coperta è di mq 1570, la superficie complessiva lorda è di di mq. 660, un volume di mc. 5050, una altezza di 2/3 piani. Il complesso “Villa dei Cedri” sottoposto a tutela ai sensi del D. Lgs. 42/2004 con decreto (notifica n.220) del 19 febbraio 1970, comprende i seguenti corpi (vedi planimetria sottostante):
  • La Villa principale (colore rosso)
  • L’adiacenza principale est denominata “Cavallerizza” (colore giallo)
  • L’ex Opificio o Adiacenza sud (colore blu)
  • L’adiacenza nord detta “Casetta nel Parco” (colore rosa)
  • Il Parco con grotta, fontana, annesso di servizio, esemplari vegetali di pregio e cinta perimetrale.
L’immobile di cui si occupa il presente intervento è un intervento stralcio all’Adiacenza Sud, formata da tre corpi disposti planimetricamente ad U attorno ad una corte acciottolata, frutto di addizioni successive nel tempo tra il XVIII° e la fine del XIX° secolo (vedi relazione storica), e riguarda in particolare la parte dell’ex Opificio, cioè il braccio Ovest della stessa. Il corpo di fabbrica ovest principale e di più antico impianto è l’ex filatoio settecentesco, a tre piani fuori terra ed un piano interrato, con forometrie cadenzate contornate da stipiti in pietra biancone. All’esterno lungo tutto il fronte ovest di quest’ala scorre ad una quota inferiore del pavimento interno il canale Cordana, che è stato tombato nel suo percorso di attraversamento del Parco per riemergere in un vallo a terrazzi realizzato per posizionare (nel suo utilizzo  protoindustriale) le ruote idrauliche che facevano funzionare le macchine da filato.
 


Economia, trasformazioni urbanistiche ed edilizie
 
L’ex opificio di Villa dei Cedri è il manufatto architettonico più rilevante di un insieme di annessi
inseriti nel parco di matrice romantico-ecclettica di Villa dei Cedri.

Quello che vediamo è frutto di un significativo processo di trasformazione urbana che affonda le sue radici nel secolo XVII°; da qui nasce il fenomeno della trasformazione e/o formazione della manifattura serica nelle aree rurali del territorio della Serenissima, favorito da minori costi di produzione e minor tassazione.
Venezia, a seguito della crisi economica seicentesca del settore serico della città lagunare, agevolò il formarsi di manifatture tecnologicamente avanzate (decreto del 1634) in aree marginali e in particolare i mulini “alla bolognese”. Questi mulini producevano l’orsoglio (seta pregiata detta organzino), e rappresentavano un’innovazione tecnologica rispetto alla produzione precedente in area veneta, caratterizzata da un forte processo di meccanizzazione.
La coltivazione del gelso e l’allevamento del baco da seta, rappresentavano inoltre il completamento di un ciclo produttivo che per oltre tre secoli ha legato funzionalmente e culturalmente agricoltura e industria veneta.
Nella zona di Valdobbiadene sul finire del XVII secolo, molti furono coloro che chiesero ed ottennero di insediare nuove ruote idrauliche o trasformare strutture preesistenti per iniziare a produrre filato di seta. Tra questi anche il mulino da grano con ruota idraulica di proprietà dei Bottoia, posto nella regola di Martignago che fu acquisito dalla famiglia Alessio nel 1782 (vedi mappa all.1). Questi ultimi chiesero di trasformare il vecchio mulino in un “edificio da filatoio alla bolognese”. Il nuovo edificio fu terminato nel 1787.
All’interno di questo manufatto trovava posto tutto il sistema complesso della macchina da filato mossa dalle due ruote idrauliche esterne. Tale macchinario funzionava su più livelli ed è ipotizzabile fosse un’opera straordinaria, come descritto da Vittorio Zonta nel libro “Nuovo Teatro di Machine et edificii “ pubblicato a Padova nel 1607, (attualmente si può vedere funzionante al museo dell’industria di Bologna).
La seconda metà del secolo XIX° portò molti mutamenti nell’industria serica, in particolare a Valdobbiadene si affacciò la figura di Pietro Piva che acquistò nel 1827 dagli Alessio il filatoio e altre proprietà in località Martignago.
Sigismondo Piva, suo figlio, acquisirà poi nel 1847 l’ex setificio Franzoia e nel 1856 il terzo e ultimo filatoio di Valdobbiadene nel 1856 di proprietà Reghini, concentrando su di sé tutta la produzione serica.
 
Nel 1840 l’antico opificio fu completamente ristrutturato    probabilmente per adeguarlo a criteri più industriali.

I Piva avevano rilevato oltre alla proprietà Alessio anche altre proprietà, era presente ancora il borgo Martignago con prolungamento oltre via Bottoia, quella di Martignago di Secca e a ovest via Molini. Permaneva l’edificio poi destinato a diventare “Cavallerizza”, il filatoio e la casa colonica facente parte parzialmente dell’attuale “casetta del parco” (adiacenza nord).   Sigismondo Piva morì nel 1873 senza lasciare figli. La guida degli stabilimenti passò al fratello Celestino in particolare quello posto a valle del nostro sito presso l’antica proprietà Collalto che rimarrà lo stabilimento principale dei Piva.
Oltre che a Valdobbiadene i Piva avevano aperto negli anni ottanta altre filande ad Alano di Piave, Segusino, Cavaso, S. Vito del Friuli ed un essicatoio a Villotta di Chions (Pordenone), diventando produttori importanti anche fuori del Regno d’Italia.
E’ tra il 1871 e il 1881 che Celestino edificò un’ulteriore ala autonoma del filatoio di Martignago. ( si veda la planimetria del 1900 circa).
Le filande della famiglia Piva verso la fine dell’ottocento occupavano ben 400 filandine e in un rapporto dell’epoca questo era rappresentato come una situazione favorevole rispetto al periodo economico, caratterizzata nel trevigiano da una forte spinta all’emigrazione. Probabilmente a seguito della crisi economica di fine ottocento, iniziò un processo di concentrazione monopolistica della produzione serica che vide la famiglia Piva protagonista primaria dei fenomeni di trasformazione urbana avvenuti nel secolo XIX° in Valdobbiadene.

Pietro Piva (1864-1925), figlio di Celestino, fu colui che decise di costruire la Villa (ora
denominata “dei Cedri”), come residenza di famiglia vicino al filatoio di Martignago.

Acquisì nel 1889 dal comune la via Bottoia, ed altre proprietà del borgo non ancora in possesso dei Piva, demolì gran parte del vecchio borgo Martignago, perciò le preesistenze collocate intorno alla manifattura furono distrutte per far posto alla villa ed al parco, che fece progettare secondo i gusti del periodo ( giardini eclettici ). Fu ampliato anche il filatoio di Martignago (attuale Adiacenza sud), che assunse così la sua forma definitiva ad “U”, utilizzandolo però a scuderie, casa del custode e depositi.

Egli fu l’unico dei figli di Celestino a continuare l’attività industriale a Valdobbiadene, ove risiedette stabilmente. E probabilmente successivamente al realizzo della Villa che l’ex Opificio fu trasformato in cantina, come si riscontra anche da una perizia di stima del 1957 .
 
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